Caso Denise: Dal profilo fb, dell'avv. Giacomo Frazzitta.
Intanto venerdì 18 inizia in Corte di Appello a Palermo il Processo contro Pulizzi Jessica e Gaspare Ghaleb.
Intanto venerdì 18 inizia in Corte di Appello a Palermo il Processo contro Pulizzi Jessica e Gaspare Ghaleb.
A quel punto Anna Corona, dopo neppure un secondo, divenuta consapevole della gravità della situazione e, ritenendo di potere essere intercettata ( quindi intuendo di dovere occultare le inevitabili emozioni connesse alla confessione), senza cambiare tono della voce ripete la domanda formulata appena prima della rivelazione rispondendo e domandando nuovamente : “Va boh, ti dico, tu problemi cu Dio ci n’hai?”.
Dopo due-tre decimi di secondo Jessica, avendo intuito ciò che la madre gli sta implicitamente suggerendo (ovvero di “riprendersi” e continuare a fingere), alza nuovamente la voce e, cambiando argomento, afferma : “no però già lu dissi io quannu …era” ( Cfr. sentenza fg. 155)
L’ipotesi appena sposata dal Collegio fonda su due elementi, il primo riguardante l’argomento trattato dalle due donne inerente alla somiglianza tra Denise -Jessica-Pietro Pulizzi.
Questo argomento consente di far individuare alla frase, anche, il senso sottinteso riguardante il luogo dove avrebbe portato la bambina, ossia a casa del padre Pietro Pulizzi.
Il secondo elemento che depone, secondo il Tribunale, a sostegno di questa interpretazione è “il tono basso con cui Jessica pronuncia la frase, il quale costituisce il segno della volontà di non consentirne la percezione all’esterno. Sotto questo profilo, costituisce regola logica quella secondo la quale la volontà di nascondimento riveli l’esistenza di un qualcosa da occultare. Nel caso di specie, poiché l’argomento trattato in precedenza è la “somiglianza di Denise” e poichè i diversi contesti della conversazione ( il commissariato; i sospetti degli investigatori; le domande della madre) afferiscono tutti ad una bambina che è stata “prelevata e portata altrove”, l’operazione di occultamento potrebbe riguardare proprio una bambina “prelevata e portata al padre” .
Tuttavia, nonostante lo sviluppo logico argomentativo proposto dal collegio l’ipotesi appare secondo i Giudici “non anche di probabile o di altamente probabile verificazione” ( Cfr. sentenza fg. 156)
Infine l’ultima ipotesi che i Giudici prendono in considerazione è quella secondo cui, anche, solo l’omissione di una singola parola possa incidere in modo decisivo sul significato di una frase.
In questa visione, le espressioni utilizzate da Jessica in quella conversazione, caratterizzata da un contesto provocatorio in cui si muovevano le due interlocutrici, è possibile che :” lo strumento non sia riuscito a registrare un’espressione rivelatrice del riferimento che Jessica fece alle parole degli investigatori, con ciò offrendo un significato esplicito di quella frase radicalmente diverso da quello autentico ( n.d.r. mi ripetono continuamente che / come fanno a credere che / dicono che i testimoni mi hanno visto / dice che / dice : quando ero con Alice ho preso e a casa glielo ho portata) (cfr. sentenza 163-164)
Orbene, la forzata impostazione, che nell’apparato motivazionale, hanno dato i Giudici del Tribunale, fortemente caratterizzata da un’autoreferenzialità delle dichiarazioni dell’indagata o dal riscontro che queste hanno con la sorella e con la madre Anna Corona determina una interpretazione distorta di tutti gli elementi indiziari caratterizzati, invece, al contrario, da univoca e precisa capacità indiziaria nei confronti di Jessica Pulizzi .
Ciò che in questo caso rileva, per quanto concerne, la frase: “quannu eru cu Alice a pigghiai e a casa c’ha purta’ ”, è che tutti i Periti chiamati ad ascoltare e trascrivere la frase, nonché, i consulenti di parte, compresi quelli dell’imputata, non hanno contestato la frase che dunque è certamente stata profferita dall’imputata .
Si esclude, categoricamente, l’ultima delle ipotesi espressa dal Tribunale, ossia che Jessica si stesse riferendo a qualcosa che le era stato rimproverato o detto dagli inquirenti in un altro momento della giornata in Commissariato.
Su questa erronea interpretazione il Tribunale versa in motivazione ben 2 pagine e mezzo da fg. 161 a fg. 163 in cui elenca “tutte le frasi in cui Jessica fece riferimento a quanto le fu detto in quei momenti” .
Uno sforzo onestamente garantista, davvero encomiabile da parte dei Giudici, ma certamente inutile, poiché:
1. non conciliabile con le argomentazioni particolarmente sensibili trattate nella porzione di conversazione oggetto della frase incriminata ( la somiglianza con Denise e non, anche, come nelle altre parti, le accuse che le venivano rivolte );
2. non compatibile con l’abbassamento del tono della voce ( infatti, nelle altre porzioni riportate in sentenza non vi è un abbassamento del tono) , anzi a rigor di logica sarebbe stato opportuno da parte della Pulizzi alzare il tono per rivendicare l’ingiusta accusa ;
3. incoerente con la reazione della madre che, così come ha fatto per tutto il periodo in cui si trovava in Commissariato, si sarebbe dovuta indignare per una così infamante accusa ( al contrario ha una reazione contenuta diretta a fermare la figlia dal ripetere la frase ( va boh !!) ;
4. condotta dell’imputata e reazione della madre assolutamente incoerenti con altre parti della conversazione in cui, invece, al contrario le due donne fanno riferimento a fatti e situazioni che le venivano addebitate dagli inquirenti .
5. Infine, entrambe le donne, sentite in udienza non hanno mai dato questa spiegazione della frase, anzi, hanno escluso di averla sentita per cui appare quanto mai anomalo che se la frase fosse stata espressa riferendosi all’ ingiusta accusa di aver prelevato la bambina rivoltale dagli inquirenti, in tutti questi anni (prima di indagine e poi di processo) l’avrebbero in qualche maniera rammentato .
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